Non fumo, non bevo, non dico parolacce… beh, qualcuna sì, ma non siamo pignoli, suvvia… può sembrare che io sia immune dai vizi che affliggono, o rallegrano, l'umana specie. Ma non è vero. Anche io ho il mio modo per scaricare la tensione, per sentirmi coccolata in un pomeriggio uggioso. E' una vera e propria dipendenza: ne ho bisogno, a questo punto penso che farei fatica a vivere senza, sia a livello psicologico che dal punto di vista fisico: non posso, come dicono alcuni, "smettere quando voglio". Il mio corpo è ormai assuefatto a quella polvere sublime, quando mi manca mi sento male!
No amici, fermi tutti, non chiamate San Patrignano: sto parlando della CIOCCOLATA! Fondente o al latte, con scaglie di meringa, col riso soffiato, nera o bianca. Mi piace prepararla in tazza con la fecola e il latte scremato (così ho l'illusione che sia più leggera), tanto densa che sembra quasi budino, così calda che mi scotto la lingua. Con la panna, senza panna, coi biscottini, invasa dai cereali… Ma come ha fatto l'Europa a sopravvivere senza, fino a un bel pezzo dopo la scoperta dell'America?!?
Ricordo con sollievo il momento della mia adolescenza in cui scoprii che non era colpa di questo mio sublime vizio se il mio viso era costellato di poco eleganti macchioline rosse. Anzi, la cioccolata fa bene! Benissimo! Bene all'umore, prima di tutto. E poi lo senti che non può fare male, quando ti solletica la lingua e la avvolge nella sua scioglievolezza, quando scende nella gola con il calore di una copertina d'inverno e raggiunge lo stomaco, che la accoglie gorgoglii di gioia e desiderio.
E' quanto l'uomo conosce di più simile all'ambrosia, il nutrimento divino: lo sapevano bene i Maya, che usavano questo frutto per le occasioni davvero speciali, come i matrimoni. Scioglievano nell'acqua o nel latte la magica polverina: anche loro avevano capito, ben prima che Laura Esquivel scrivesse Come l'acqua per il cioccolato, che la sintesi di questi due elementi era una bella allegoria dell'amore, del modo in cui la fluidità dell'acqua e il sapore del cacao diano luogo, insieme, a un'unità superiore, la cui unione trascende le singole parti. Pare infatti che la parola "cioccolata" derivi proprio da cachau (cacao) e "alt" (acqua).
Quando gli Europei scoprirono il cacao, alla corte dell' imperatore messicano Montezuma che ne beveva anche cinquanta tazzine a pasto, all'inizio fecero gli schizzinosi. La bevanda venne importata, ma non divenne subito di moda: era troppo amara, e il peperoncino la rendeva esplosiva. Fu alla corte di spagna che venne ingentilita e addolcita, per adeguarla ai delicati palati del vecchio continente. Da allora la sua diffusione fu inarrestabile. Accusata di provocare libidine, eccitazione e nervosismo, fu difesa addirittura dagli alti prelati, che la gustavano anche durante la Quaresima per meglio sopportare il digiuno. Avete capito? Altro che sacrificio, se la Quaresima è questa per me potrebbe durare tutto l' anno!
Nel XVII secolo la magica polverina arrivò in Svizzera, dove nel 1875 Daniel Peter, che chissà perché non è ancora stato fatto santo, iniziò a lavorarla con l'ottimo latte delle mucche Elvetiche. Da allora si diffuse il mito del primato della cioccolata Svizzera, che effettivamente ha la capacità di stregarci… Anche se, personalmente, penso che i Gianduiotti di Torino e i cioccolatini Cuneesi non abbiano nulla da invidiare a nessuno.
Come negare la commistione esplosiva tra cacao e amore? Le dolcezze del cuore e quelle del palato sono sempre state buone sorelle. Lo sapeva bene Luisa Spagnoli, moglie di uno dei fondatori della Perugina, che - si racconta- scriveva al suo giovane amante Giovanni Buitoni bigliettini d'amore che avvolgeva attorno ai cioccolatini. Ed ecco che ancora oggi i Baci contengono un messaggio di tenerezza che, spesso, porta buonumore, speranza e lascia nel cuore, come sulla punta della lingua, un persistente aroma dolce e delicato.
PollyAnna
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