Ricordo cos’era la neve per me nell’infanzia: una messaggera del mondo della magia, che sentivo come il mio vero mondo. Io e quei fiocchi eravamo in depositari di un sapere antico, quello della freschezza e dell’innocenza. In ognuno di essi c’era una storia, c’era una magia.
Guardavo gli adulti e disprezzavo il loro affaccendarsi, il modo in cui maledivano le strade scivolose e si affannavano a spargere sale.
Intanto la natura dormiva serena sotto la coltre dell’inverno e io la vegliavo.
“Sotto la pioggia fame, sotto la neve pane”, recita un proverbio. Se la terra ha potuto dormire sotto la bianca coltre, il raccolto sarà migliore.
Ci sono stati e ci sono ancora popoli, però, con pochi mezzi per fronteggiare il rigore dell’inverno: in questa morte apparente della natura per gli indiani d’America, per esempio, era difficile procurarsi abbastanza cibo, i frutti della terra erano inaccessibili e la selvagigna scarsa. Eppure ogni crisi ha il suo risvolto positivo: in quel caso, per superarla non ci si arroccava sull’arida logica dell’individualismo ma ci si aiutava tutti, trovando nella solidarietà il mezzo migliore per arrivare indenni alla bella stagione.
Alle nostre latitudini, a volte gli animali guardano con sospetto questa strana sostanza, all’apparenza morbida e in realtà gelida. Ricordo le prime volte che il mio gattino ci ha ficcato il naso curioso, per subito ritrarlo con un’espressione tra la paura e il dispetto.
Eppure, ci sono animali che la conoscono meglio della primavera. Penso ai lupi e ai cani da slitta, di cui ho letto meraviglie nei libri di Jack London; ai nostri stessi husky, che sudano tutto l’anno e adesso finalmente si sentiranno un po’ più “a casa”.
La neve, poi, mi ricorda anche un altro inverno. Quello dell’isolamento, quando una sostanza gelida si insinua in ogni anfratto e raffredda i muscoli, inibisce la capacità di muoversi, di andare verso gli altri. Mi viene in mente una poesia di un Ungaretti giovane, alle prese con gli orrori della guerra, che avvicina la neve al sonno, stato di grazia in cui il mondo rimane, per un poco, lontano.
A volte si può sentirsi soli e isolati anche a causa di una solitudine forzata, di un inverno dello spirito che congela la nostra capacità di credere, di innamorarci, di accenderci.
Mi piace pensare che questi periodi sono opportunità che il nostro cuore si prende per riposare, come se scendesse in un letargo rigeneratore che ha il potere di ricaricarlo di energie tutte nuove.
Mentre scrivo, risuona dentro di me una poesia vecchia come un sogno:
Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.
Senti: una zana dondola pian piano
Un bimbo piange, il piccol dito in bocca.
Canta una vecchia, il mento sulla mano.
La vecchia canta: intorno al tuo lettino
C’è rose e gigli come un bel giardino.
Nel bel giardino il bimbo s’addormenta:
Fiocca la neve lenta, lenta, lenta.
In questi pochi versi, ecco che c’è tutto: il silenzio della neve, in cui s’incontrano i capelli bianchi di una donna e il sonno di un bambino; il rigore dell’inverno e l’attesa, il sogno di un giardino fiorito.
Quanta ricchezza in poche parole, quanta magia in una spolverata di bianco.
Me ne ricorderò domattina, se al mio risveglio mi verrà da arrabbiarmi per le strade scivolose e coperte di bianco!
PollyAnna
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