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Radiofreccia

Radiofreccia Radio Raptus a un certo punto cambia nome. Diventa Radio Freccia. Il motivo non ve lo dico, lo scoprirete da soli seguendo i fili di questa storia giovane, dura e vitale. Radio Raptus non è solo una radio: è il frutto di un progetto, il sigillo di un’amicizia tra Bruno (Luciano Federico), Iena (ALessio Modica), Tito (Enrico Salimbeni), Boris (Roberto Zibetti) e Freccia (Stefano Accorsi). Ora, dopo quasi diciotto anni, sta per chiudere. Ha quasi l’età dei suoi soci quando l’hanno fondata. Ha fatto il suo tempo. Non chiude per problemi di soldi né di successo: il fatto è che non riesce più a parlare di chi ci lavora, a permettere “a ognuno di dire al resto del mondo la sua cosa”. E’ nata all’interno di un borgo non precisato, che alcuni fanno coincidere con Correggio, il paese del regista Luciano Ligabue. E’ una realtà che nasce dal piccolo e dal poco, da una stanza grezza e spoglia, con le sue pareti grigie e i muri spessi. Ma è sufficiente che Freccia faccia brillare una candela per accendere l’atmosfera: segno dell’entusiasmo trascinante di questi quattro giovani, pieni di voglia di divertirsi insieme e di ritagliarsi la loro libertà.

La radio diventa la voce di tutte queste vite. Un modo per condividerle con tutti quelli all’ascolto. Indimenticabile il monologo di Freccia, che ricorda la canzone “Credo” di Ligabue e racconta la sua realtà: il vuoto che questo ragazzo si porta dentro, ma anche quanto è bello riuscire ogni tanto a riempirlo grazie agli amici, alla musica, allo sport. La mancanza di ciò di cui avrebbe bisogno — una famiglia stabile, un lavoro sicuro — e la voglia di inventarsi lo stesso altre strade, di far risuonare ugualmente la sua canzone.

Freccia vive con tormento la tensione che sperimenta quotidianamente in famiglia e l’amoralità dei suoi genitori, che l’ha fatto star male sin da quando non era ancora in grado di reggersi in piedi da solo. Nasce un dissidio che non è in grado di gestire e lo rende troppo sensibile e fragile di fronte alle relazioni, specialmente affettive: saranno un paio di storie sbagliate a buttarlo a capofitto nella droga, perfida amica, foriera di compagnie pericolose e codarde. Capaci di lasciarti solo e abbandonarti in un fosso quando stai veramente, veramente male. Neanche gli altri amici hanno vita semplice: Tito ha una sorellina a cui è molto affezionato e nei confronti della quale è molto protettivo. Nessuno può accennare neanche vagamente a lei e alla sua bellezza nascente senza di incorrere nelle sue ire: il fatto è che deve proteggerla da un mostro di cui è difficile avere ragione... Lui e Boris si ritrovano inoltre immersi in un un amore ambiguo e convolgente che, ahimè, li travolge entrambi e fa male a ognuno di loro, ma soprattutto alla loro amicizia...

Le parole di Bruno Iori ci accompagnano a ripercorrere in un lunghissimo flash back la storia di questa mitica radio, che muore al suo apice. Che si spegne nella ripetizione dell’ormai immortale “Credo” di Freccia, voce della sua energia e della sua fiducia del giorno precedente a quello, disgraziato, in cui inizia a bucarsi. L’epilogo è accompagnato da una canzone di Liga “Ho perso le parole”: sì, la radio non parla più, le parole vengono meno. Ma non la possibilità di comunicare... “Io mi farò capire, se ascolti bene, se ascolti un po’!”

PollyAnna


Radiofreccia - scena