"Fatti trovare domani mattina presto in questo stesso luogo, e ti darò la chiave che ti aiuterà a riavere ciò che vai cercando da così tanto tempo", dice l'uomo abbronzato dai lunghi capelli d'argento allontanandosi dalla riva, con la sua tavola da surf sotto il braccio.
Il vecchio surfista ha infatti intuito il disagio dell'uomo che medita, da solo, in faccia all'Oceano. Il giorno dopo, all'appuntamento, lui non c'è, ma ha lasciato su uno scoglio un biglietto bianco che giorno dopo giorno, notte dopo notte, offre la ricetta a chi voglia ritrovare se stesso sotto la crosta delle sovrastrutture che il mondo civilizzato e commerciale, con le sue abitudini e i suoi rituali, costruisce e stratifica intorno a noi. Gli ingredienti si trovano in qualche modo nel mare: la tavola da surf diventa lo strumento per andare a cercarli, per trovarli tutti, uno dopo l'altro, in quella distesa sconfinata. La sua superficie e le sue profondità sono uno specchio della nostra interiorità dimenticata.
Questo percorso dell'anima esclude il pensiero come razionalità e consapevolezza, come logica e sapienza, per battere solo la strada dell'emozione e dell'empatica armonia con le cose.
Ecco il surf, ancora lui: camminare nell'acqua, correre sull'Oceano, cavalcare l'onda, scivolare lungo il confine tra il mare e il cielo, respirare il vento. Talvolta, esausti, lasciarsi cullare: la tavola diventa una metafora del ritorno al linguaggio perduto della verità, che è anche il recupero della semplicità e dell'innocenza, il ritrovamento della patria interiore, il riappropriarsi dei primordi, della madre, della magia dei luoghi e dei momenti dell'infanzia.
La tavola da surf non ti dà solo l'ebbrezza di cavalcare l'Oceano, ma ti riconduce a trovare Dio nella gente, nelle cose, nella bellezza. La sua agilità e leggerezza non liberano solo il corpo, ma fanno correre lo spirito, facendogli sperimentare istanti di perfetta armonia.
La morsa opprimente della realtà, delle cose si allenta. La solitudine, la malinconia, la paura, la morte stessa rivelano la loro natura più profonda di momenti della vita. Si riscoprono l'esperienza della perfezione e quella dell'amore. Si recupera alla coscienza il linguaggio perduto, quello della Verità, che mette il narratore in contatto con il se stesso più autentico, che pareva- ma non era- perduto.
Dodici giorni passati in faccia all'Oceano, un libretto abbandonato su una roccia da un vecchio surfista, dodici lezioni di vita scritte su quelle pagine rinsecchite dal sole, un viaggio interiore alla riconquista della propria essenza. E chissà, forse quel libretto è ancora lì, su uno scoglio, in attesa di essere scorto da qualcun altro, bisognoso di recuperare il linguaggio della vita vera.
SteppenWolf