Con una scrittura veloce ed efficace, capace di inchiodare il lettore alla pagina, Michele Lupi declina il viaggio nelle sue molteplici accezioni, tracciando di volta in volta il profilo di una passione, di un’ossessione, di un amore. Immancabile la presenza di un racer per eccellenza: Valentino Rossi.
Storie di corse, velocità e sfide estreme presentate attraverso interviste e racconti in prima persona. I protagonisti di queste storie sono alpinisti, velisti, hikers, subacquei ma soprattutto piloti di moto e di auto. Fra tutti spicca la figura di Valentino Rossi che, in qualità di pilota, è fra gli eroi preferiti dell’autore. Intervistato nella sua casa di Londra, in sottofondo la musica dei Clash, Rossi parla di musica, di libri, di tv, di ragazze – e ovviamente di motori – con toni lievi e divertiti.
Il viaggio in auto con Giovanni Soldini, vecchio amico di liceo di Lupi, non mancherà di suscitare il vivo interesse del lettore. Attraverso brevi flashback e battute, i due rievocano il tempo dei liceo, i 7 in condotta al Parini, la fuga da casa di Soldini, le estati trascorse a fare il mozzo sulle imbarcazioni turistiche. E, dalle moto e dalla vela, si passa all’alpinismo con Bassanini, figlio dell’ex ministro. Bassanini è un alpinista non convenzionale che preferisce il clima un po’ freak dei raduni dei climbers del Colorado ai "santuari" seriosi delle Alpi e dell’Himalaya e qui narra la vicenda di un salvataggio estremo sulle montagne dello Yosemite.
Un libro avvincente che declina di volta in volta il viaggio come sfida, avventura, irrinunciabile stile di vita.
Prefazione di Valentino Rossi
Speed; too fast too furious; fast food; fast forward; speedboat; fast lane; faster; fast bikes; fuel throttle; flat-out; survival of the fastest; I live for speed; fast track: sfogliando i giornali in questi giorni – a Londra – la velocità è ovunque. Stampata sui manifesti, pubblicizzata nei giornali, cantata dai gruppi, urlata dalle copertine dei libri, sfruttata per vendere hamburger.
Ma, per me, cos’è davvero la velocità?
È una cosa molto, molto affascinante. Ad alta velocità tutto diventa più difficile e più bello. Più vai forte e più s’innalza la soglia dell’eccitazione. Se per esempio corri su una pista leggendaria come Assen, in Olanda, ma la fai a 100 all’ora, tutto diventa facile e noioso. Invece, se ti metti a correre a 300 all’ora, le semicurve diventano curve, le buchette diventano bucone, tutto viene estremizzato e ingigantito. E allora diventa bello. La percezione della velocità dipende soprattutto dal posto dove questa viene praticata, più che dal tipo di mezzo con cui la raggiungi: in moto, in linea di massima, la si sente molto di più. Però se vai a 300 chilometri all’ora in moto su una pista, o a 240 all’ora in macchina su un’autostrada, senza dubbio ti sembrerà di andare più forte con la macchina in autostrada, anche se sei all’interno di un abitacolo protetto dal vento.
Il motivo? Se la strada è più stretta, i riferimenti saranno più vicini e la sensazione dell’andar veloce verrà amplificata. Ma tra l’andar forte con una macchina e l’andar forte su una moto ci sono comunque grandi differenze: in moto devi tener conto che più alta è la velocità, più diventa fisicamente impegnativa per il pilota. Non è più solo una questione di controllo del mezzo: il problema, a 300 all’ora, diventa quello, vitale, di stare attaccato al sellino. E poi, a quella velocità, diventa anche complicato muoversi sulla moto. Finché stai accucciato e sei protetto dalla carenatura, non riesci a capire bene a quanto stai andando. Ma appena ti alzi un pochino, prima di affrontare una curva, la sberla dell’aria che ti colpisce è violenta. Dato che sulle moto da corsa non c’è un tachimetro che indichi la velocità, l’unico riferimento che hai per capire a quanto stai andando è il comportamento delle sospensioni.
La mia Honda rc211v da corsa ha un ammortizzatore piazzato sotto la sella, costituito da una molla gigantesca; per mandarlo a fondo corsa, bisogna applicargli una forza mostruosa. Sulla pista di Assen, per esempio, un rettilineo che, se lo fai con lo scooter, ti sembra totalmente piatto, a 290 all’ora con la moto da Gran Premio salti paurosamente di qua e di là, a causa degli avvallamenti che a quella velocità si trasformano in vere e proprie cunette. L’ammortizzatore si comprime completamente e senti chiaramente sotto, la carenatura, strisciare violentemente sull’asfalto.
Si prendono davvero delle gran botte. Da quello capisci in maniera violenta a quale velocità stai andando. È quindi importante fare tutto con molta calma. Anche se è un paradosso, è questa la verità: più vai forte e più i tuoi movimenti in sella devono essere lenti, perché la velocità estremizza tutto ed è automaticamente lei che fa il resto del lavoro. È questo uno degli aspetti che più mi affascinano: quando corri e superi una certa velocità, hai la sensazione di essere più veloce di tutto quello che hai intorno. Sei più veloce della realtà. E se corri fuori da un circuito, la sensazione si amplifica.
In gara, invece, è un po’ già tutto programmato. Perché un pilota, in corsa, sa già dove deve arrivare e quindi il chilometro di rettilineo al Mugello non lo sente neanche, perché quando lo percorre sta già pensando alla curva successiva. Quindi passa inevitabilmente in secondo piano il fatto che per fare un chilometro bastano sei secondi. Probabilmente senti di più una velocità sorprendente, che non ti aspetti, che non sai dove ti sta portando. È il solito tema dell’ignoto che fa paura. Io in pista sono consapevole di andare a 330 all’ora e so anche quale tipo di curva mi aspetta in fondo al rettilineo. Non lo sapessi e fossi lanciato come un cretino a 330 all’ora in autostrada, la sensazione sarebbe ben diversa, perché il "non sapere" potrebbe farmi paura.
Personalmente, uno degli episodi in cui ho maggiormente sentito e "sofferto" la velocità è stata la seconda volta che ho provato la Motogp a quattro tempi. Ero in Australia, a Phillip Island, dove il rettilineo ti permette di raggiungere velocità mostruose. Se con le vecchie 500 due tempi arrivavamo a 305 chilometri orari, con la nuova rc211v toccai subito i 320 all’ora – a quella velocità, 5 chilometri all’ora di differenza sono un’enormità. Dato che il rettilineo di Phillip Island ha un dosso e la parte finale termina in discesa, le prime volte che arrivavo sul dosso mi si staccavano i piedi dalle pedane, perché in quel momento, quando mi alzavo per la frenata, il flusso d’aria m’investiva dritto sul petto, s’incuneava tra me e il cupolino e poi andava a infilarsi sotto il sedere, scaraventandomi in aria. Mi è successo per due o tre giri; la sensazione di saltare via dalla moto era davvero impressionante. Poi, il più velocemente possibile, impari la cosa più importante, che dicevo prima: più la velocità è elevata e più i movimenti devono essere dolci, leggeri e programmati. Tutto, a quel punto, torna a girare normalmente. Quindi, muovendovi piano, leggete veloci.