Un bambino, Ultimo, che si chiama così perché è il primogenito. Primo figlio. E ultimo. Quando entri in una stanza, sai se c'è senza guardarlo: perché lui è lì, con la sua ombra d'oro. Un'aura che non si vede con gli occhi ma si percepisce, come i gatti con le vibrisse.
Il sogno di un padre, Libero: riparare le automobili che in Italia ancora non ci sono, declinare nel vento quella libertà di cui porta il nome.
La generosità di una donna che lo accompagna in un sogno che sa di follia. Anche quando i soldi scarseggiano e si deve vendere tutto, perché il marito da anni ha speso ogni singolo centesimo per un garage di macchine che non esistono. Anche quando è costretto a chiedere un prestito in banca, il sommo del disonore. Non lo capisce, ma lo lascia fare. Dà spago all'aquilone di chi condivide con lei la sua vita.
Una lezione banale, che ha il sapore semplice delle verità più chiare ed ignorate: se ami qualcuno che ti ama, non smascherare mai i suoi sogni. Il più grande e illogico, sei tu.
La voglia di gridare al vento il proprio nome su una collina di campagna, correndo all'impazzata là dove non è mai passata che la ruota di un carro: la macchina è distrutta, ma si può sempre riparare. E' una cosa, una cosa soltanto: è un paio d'ali che permette ai sogni di prendere il volo. Ed ecco che si parte. Florence, la madre, resta a casa ad aspettare, piena di paura e di fiducia. Non le importa che vincano o perdano. Soltanto che tornino vivi, magari ammaccati, coi capelli scompigliati da un vento troppo forte. Ma vivi. Lei è come la terra, come il nido sempre pronto ad accogliere e a scaldare, ma anche a lasciarti tentare, cadere, rialzarti, riuscire.
E nasce il terzetto: il signor Libero Parri e il Conte D'Ambrosio, che hanno fiutato un futuro di corse e successi e lo inseguono decisi, come il cane sulle tracce del tartufo. Alle loro spalle, l'angelo. Ultimo.
La sua storia si dipana dall'epoca della Grande Guerra agli anni Sessanta. E' un ragazzino quando sente per la prima volta la parola "tornante". Non la capisce. Crede che si tratti di uno strano animale, comunque di qualcosa da domare. Quello che gli resta, è l'idea di curva. Di circolo. Di circuito. Un giro che possiamo compiere una sola volta, il giro della nostra vita, come una corsa a velocità folle sulle automobili, talmente nuove che quasi non esistono. Quasi nessuno le ha viste. Come i fantasmi. Eppure, sai che ci sono. Eppure. Guai a chi oserà fermare i sogni. Sarà travolto come la polvere della strada. I sogni si seguono, si seguono come la linea dell'orizzonte. Come quello che, in noi, ci ricorda che siamo vivi. Preoccuparsi di come realizzarli? Mai. Non preoccuparsi, ma agire. Captare le vibrazioni dell'aria. Dare loro la leggerezza e lo slancio tipici dell'imponderabile. Ed ecco che impareranno a camminare da soli, come bambini svezzati. Ecco che, dopo averli aspettati a lungo, ci ritroveremo a rincorrerli come l'orizzonte- come la strada della nostra vita, forse accidentata, sempre sublime.
Un giorno, per sempre, accarezzata dalla mano di un amore. Fino alla fine.
Steppenwolf