Una delle necessità ineludibili di ogni potere basato sulla violenza è il silenzio: il mondo di fuori non deve sapere. Se possibile deve pensare che la vita dei sottoposti al regime sia di serena accettazione, anzi di gratitudine per chi mantiene l’ordine, la concordia, la produttività. Se questo non si verifica, se le notizie trapelano, bisogna farle passare per calunnie insinuate dai detrattori esterni della dittatura. Ecco chi è ora Yoani Sànchez per Fidel Castro: una dei giovani cubani “appositamente incaricati di minare il sistema”.
Ma lei ci racconta tutt’altra storia. Nel 2007 inizia a scrivere il suo blog, http://www.desdecuba.com/generaciony, in cui si permette di gridare quello che la gente spesso non osa nemmeno sussurrare all’interno delle proprie case: il dissenso impossibile, la condizione di prigionia in cui si vive nel suo paese, la necessità di continuare a lavorare nelle retrovie perché QUALCOSA CAMBI. Non è la prima volta che pronuncia parole scomode: la sua tesi, discussa nel 1995 a soli vent’anni, si intitolava “Parole sotto pressione” e parlava della letteratura dei regimi dittatoriali dell’America Latina.
Il regime le aveva perdonato questo “errore giovanile”, ma di fronte all’enorme risonanza del suo blog ha deciso di intervenire: da quasi un anno il governo impedisce di accedervi da quasi tutte le postazioni. Dopo un breve periodo di scoraggiamento, Yoani ha deciso di non darsi per vinta e con l’aiuto dei suoi numerosissimi sostenitori all’estero continua ad aggiornarlo, facendo pubblicare i suoi interventi da amici che risiedono in luoghi in cui la libertà di espressione esiste.
Nel maggio 2009, i suoi post hanno dato origine a un libro nel quale ci racconta cosa significa veramente vivere a Cuba: non passarci due settimane in albergo, come turisti, ma fare i conti ogni giorno con difficoltà che noi facciamo fatica anche solo a immaginare. Per esempio, l’abitazione: innumerevoli famiglie vivono in baracche provvisorie, pochissimi possono permettersi una casa. Quando ci riescono, di solito è un edificio in rovina che non si può restaurare senza il permesso del regime, che non arriva fino a quando i disagi non vengono riconosciuti “pericoli per la vita”. Non è possibile neanche vendere la casa, né assentarsi per un lungo periodo: dopo undici mesi, scatta la confisca.
Yoani ha un bambino, Teo, e sognava una bimba, Gea. Per ora, ci ha rinunciato: non può permetterselo finché le cose non cambiano. Le dà l’angoscia pensare al futuro, quando Teo e Gea si sposeranno e dovranno condividere con i genitori e i coniugi lo stesso appartamento allo sfacelo.
Non riesce a pensare che siano privati della libertà, così come lo è lei, che in quanto “dissidente” non ha più nemmeno il diritto di andarsene.
D'altra parte le difficoltà abitative e la mancanza di libertà sono già un lusso, un problema da ricchi, quando si convive con il problema della fame, delle file estenuanti per ricevere la razione di cibo, dal "passaparola incerto su quando il pollo sarà disponibile sul mercato".
Nel 2002, in tempi per lei meno duri, quando non era ancora considerata un pericolo dal regime, la Sànchez aveva lasciato Cuba per rifugiarsi in Svizzera: in capo a due anni, era di nuovo nella sua terra.
Perché non può esistere libertà, quando il tuo paese è in catene.
Non resta che tornare e lottare con lui, per lui, a denti stretti, senza sosta, con tutte le forze.
SteppenWolf